Livorno – Esattamente dieci anni fa, il 17 febbraio 2002, alcuni giornalisti livornesi vennero prima provocati ed offesi, quindi aggrediti da alcuni “tifosi” entrati in tribuna stampa, poi fatti passare da “provocatori” da colleghi giornalisti, infine nuovamente assaliti e colpiti da pseudotifosi, il tutto nelle aree riservate alla stampa dello stadio di Pisa, dove quel giorno, domenica, si giocò il derby calcistico fra Pisa e Livorno.
Fra quei giornalisti c’ero anch’io. Quel giorno, con la collega Marzia Chiocchi, mi trovai al centro di un allucinante pomeriggio di follia, così allucinante che, se non lo avessi vissuto personalmente, penserei che non può essere vero. Un pomeriggio che si concluse al pronto soccorso dell’ospedale di Livorno e che non si trasformò in tragedia solo perché un casuale intervento della Polizia ci salvò scortandoci fuori dallo stadio.
Con tutto ciò la cosa che più annichilisce, dieci anni dopo, è che la tragedia poteva consumarsi senza un reale motivo, forse perché in quella delirante domenica di calcio, nel contesto di una partita “calda”, noi eravamo al seguito, come cronisti, della squadra “sbagliata”. Ed invece di ricevere aiuto, invece di essere tutelati, incontrammo dei colleghi che per giustificare l’ingiustificabile, un’aggressione che poi fu ripetuta, si scagliarono verbalmente contro di noi e in particolare contro il sottoscritto.
Nei giorni successivi chiedemmo giustizia, ma ci fu negata. Dopo l’indifferenza e il disprezzo del momento, c’è stato l’ostracismo dei giorni e delle settimane a venire, dei mesi e degli anni che si sono susseguiti. L’Ordine dei giornalisti della Toscana non ci mandò neppure una riga di solidarietà. E lo stesso fece l’Associazione stampa regionale.
Io e la collega presentammo delle querele. Alcune le firmammo assieme, altre le avanzai da solo. Presentammo denuncia contro ignoti per le aggressioni subite, che coinvolsero in parte e marginalmente anche altri due colleghi livornesi, ed altre nei confronti di alcuni giornalisti locali per come si comportarono e per quello che dissero nel corso di una diretta televisiva condotta dallo stadio da Aldo Orsini su 50 Canale.
Ad essere querelati, con lo stesso Orsini, furono l’addetto stampa del Pisa, Cirano Galli, e un cronista della redazione locale del Tirreno, Antonio Scuglia. Tali querele si basarono su quanto accaduto durante e dopo la prima aggressione. Ancora oggi penso che il Galli non ebbe, in quei frangenti, un comportamento consono al ruolo di addetto stampa andando a rilasciare dichiarazioni non rispettose della nostra dignità ai microfoni di Orsini, che invece di dare notizia dell’aggressione, ed eventualmente approfondire i fatti anche con noi che eravamo lì presenti, prese ad intervistare questo e quello, dando ben poco risalto all’unico giornalista (il pisano Alessio Carli, ndr) che raccontò le cose come stavano: due giornalisti livornesi erano stati aggrediti. Orsini, invece, si soffermò sull’intervento del Galli e su quello di Scuglia il quale, accusandomi di aver fatto il “gesto del medio”, mi offese pesantemente dopo che le telecamere di 50 Canale mi avevano inquadrato.
Un altro giornalista, Massimo Marini, fu querelato poiché un telespettatore mai identificato, tale Maurizio, durante un collegamento telefonico fatto nel corso di una trasmissione da lui condotta sull’emittente Granducato Tv, sfruttando l’anonimato, quindi in modo vigliacco, mi attribuì fatti di cui non avevo alcuna responsabilità facendo il mio nome e dicendo dove lavoravo, il tutto senza mai essere nemmeno interrotto dal conduttore, che anzi ci colloquiò amabilmente.
Tutte queste querele, affidate all’avvocato Mario Maggiolo, non ebbero molta fortuna. Vuoi perché la questione era prettamente deontologica, vuoi perché le indagini vennero svolte dalla Magistratura competente, quella di Pisa, forse senza quella determinazione che a mio parere sarebbe occorsa, fatto sta che, alla fine, esse vennero archiviate. In tutto l’iter, poi, c’è stato qualcosa che mi è sempre sfuggito. Neppure il mittente di una e-mail ingiuriosa pervenutami il giorno dopo i fatti, ad esempio, è stato individuato. Inoltre, da parte nostra, l’avvocato si dimenticò, o ritenne non opportuno, impugnare una proposta di archiviazione!
Ma la questione era soprattutto di tipo deontologico. Per questo io e la collega presentammo un esposto all’Ordine dei giornalisti della Toscana nei confronti dei citati giornalisti, più Giacomo Morabito di Punto Radio, identificato in seguito, nella convinzione che i loro comportamenti erano stati carenti quantomeno da quel punto di vista.
E qui, a mio avviso, sta l’aspetto più paradossale dell’intera vicenda. Al di là della mancata solidarietà del consiglio dell’Ordine allora presieduto da Massimo Lucchesi, infatti, l’esposto venne “congelato” e in quella condizione è rimasto per anni, in attesa degli esiti dell’inchiesta della Magistratura. Per carità, nulla “contra legem”, dal momento che diversi consigli dell’ordine, e non soltanto dei giornalisti, seguono una tale prassi. Ma che a mio avviso, e non solo a mio avviso, è da ritenersi assai discutibile, sia perché è veramente imbarazzante tenere un esposto sospeso per cinque o sei anni, sia perché la questione era ed è di natura deontologica e pertanto non necessariamente correlata a quella penale, stante l’ormai consolidato principio dell’autonomia della valutazione disciplinare rispetto a quella giudiziaria. Una questione irrilevante in sede penale, infatti, può ledere i principi della deontologia professionale e dar luogo a responsabilità di tipo disciplinare.
A nulla, tuttavia, valsero i numerosi solleciti avanzati dal sottoscritto affinché l’Ordine regionale “scongelasse” l’esposto e riaprisse la pratica. La scelta del consiglio toscano fu quella di aspettare i provvedimenti della Magistratura pisana. Ma tale scelta, oltre a farci correre il rischio di veder l’esposto cadere in prescrizione, dette al sottoscritto l’impressione, forse sbagliata ma comunque profondamente sentita, che l’Ordine non volesse affrontare la questione. E la cosa assumeva, per me, la devastante portata di una beffa. Perché, mentre le istituzioni giornalistiche erano rimaste in silenzio, al sottoscritto continuavano a giungere e-mail di minacce ed offese, messaggi di scherno, con i quali si ironizzava, con un sadismo che sa di povera gente, sul fatto che eravamo stati privati della possibilità di replica.
Solo attraverso la sensibilizzazione messa in atto dall’associazione Articolo 21 di Livorno, con la presa di posizione del Gruppo cronisti toscani e grazie all’interessamento di un allora consigliere dell’Ordine regionale, Paolo Ciampi, oggi nuovo presidente dell’Associazione stampa, l’Ordine riprese il fascicolo per analizzarlo e prendere delle decisioni. Così, ben sei anni e mezzo dopo i fatti, il 10 luglio 2008 venni finalmente convocato a Firenze.
Nonostante i consiglieri mi abbiano ascoltato in audizione, nonostante abbiano visionato le immagini relative alle prime aggressioni, il Consiglio regionale dell’Ordine dei giornalisti della Toscana, il 26 marzo 2009, decise all’unanimità per l’archiviazione degli esposti. A leggere i verbali, secondo me, gran parte dei consiglieri, e in particolare l’allora vicepresidente, Gabriella Guidi, non hanno compreso la gravità dei fatti. Fra l’altro, proprio attraverso la livornese Guidi, l’Ordine ha appreso, e di conseguenza anch’io, che la Chiocchi, nel momento in cui l’iter è ripartito, non era più interessata all’esposto. Inoltre, sempre a proposito della Guidi, ho trovato curioso, leggendo alcuni atti, che nel corso dell’audizione di Galli, Orsini e Scuglia, sentiti tutti assieme, ella abbia affermato che in occasione di una partita casalinga del Livorno sia comparso uno striscione denigratorio nei confronti dell’Ordine dei giornalisti perché non mi avrebbe dato la solidarietà per l’aggressione subita. A me che seguo il Livorno da quarant’anni non risulta una cosa del genere. Mi risulta invece che il 20 settembre 2008, in occasione del primo derby rigiocato dopo quel 17 febbraio, allo stadio d’Ardenza alcuni tifosi del Livorno abbiano esposto in gradinata uno striscione che recitava “stop violenza, 17.02.02, solidarietà ai giornalisti aggrediti”.
Inevitabile, contro la delibera di archiviazione adottata in sede regionale, è stato il ricorso all’Ordine nazionale dei giornalisti. Assistito da dei legali, perciò, mi sono recato a Roma il 22 settembre 2010 e lì ho potuto raccontare, rivivendo il dolore, non solo quanto avvenne quella domenica a Pisa, ma anche e soprattutto quanto è accaduto dopo, a livello ordinistico, dove non si è dato il giusto peso alle trascrizioni, alle registrazioni e alle immagini che a mio avviso, documentando azioni ed offese, non avrebbero dovuto lasciare dubbi sul comportamento di certi colleghi.
Benché non più all’unanimità, bensì a contenuta maggioranza, purtroppo anche il Consiglio nazionale si è pronunciato per l’archiviazione degli esposti. Ma nonostante ciò il Consiglio nazionale, dove tuttavia molti membri hanno compreso la realtà dei fatti, correttamente ha affermato “che Ceccarini e la collega Chiocchi abbiano subito violenza è riprovevole e va censurato, indipendentemente da ogni e qualsiasi altra valutazione”. E ha aggiunto che “non è corretto spiegare un’aggressione con un atteggiamento non consono al ruolo del giornalista ne’ attribuire a dei colleghi la colpa di aver provocato incidenti, senza riscontri precisi”.
Tuttavia, fatta tale premessa, il Consiglio ha concluso, richiamando il decreto di archiviazione della Magistratura sulle querele e sulle controquerele, di non poter accertare responsabilità e violazioni deontologiche. Tale decisione è stata notificata al sottoscritto il 10 novembre 2010.
Nella certezza di essere stato ingiustamente dileggiato, di essere stato danneggiato come persona e come professionista, ho presentato reclamo al Tribunale di Firenze, competente territorialmente, per chiedere di annullare o revocare la delibera dell’Ordine nazionale e, conseguentemente, per accertare e dichiarare la responsabilità disciplinare dei giornalisti in questione.
Si è aperto dunque un altro capitolo di questa storia. Ancora non sappiamo come si concluderà. Siamo infatti in attesa del provvedimento finale. La mia speranza è che il Tribunale di Firenze voglia cogliere quanto in parte l’Ordine nazionale dei giornalisti ha evidenziato, cioè che non è corretto attribuire a dei colleghi la colpa di aver provocato degli incidenti senza dei reali riscontri, e che il fatto che io e la collega subimmo offese ed aggressioni, peraltro documentate da immagini televisive, è un qualcosa di riprovevole che va in ogni caso censurato.
Nel frattempo sono passati dieci anni da quel febbraio 2002. In me rimane l’amarezza di aver visto dei colleghi che, forse per non mettersi contro la tifoseria di riferimento, non hanno esitato a puntarmi il dito contro, ignorando che quel giorno ero lì per lavorare e che solo quello avrei voluto fare. Ma rimane anche l’amarezza di chi non ha avuto il sostegno e la solidarietà del proprio ambiente, in buona parte compreso quello livornese, che si è posto con indifferenza rispetto ai terribili fatti accaduti e ha ignorato o voluto ignorare la storia umana e professionale di chi, come il sottoscritto, quel giorno fu vittima della cattiveria e della superficialità. Ma a pensarci bene, pisani o livornesi che siano stati o siano certi individui, il problema è soprattutto loro. Quanto accadde quel giorno a Pisa, oltre a poter accadere ovunque, poteva infatti succedere a chiunque, anche a loro, a chi ha girato le spalle e sparato a zero. E allora cosa avrebbero detto?
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