Pallone tricolore sgonfio

25.03.2022 22:46 di  Paolo Verner  Twitter:    vedi letture
Pallone tricolore sgonfio

Livorno - Ci risiamo. Quattro anni dopo, il movimento calcistico italiano, che ha la sua espressione di punta nella squadra nazionale A, bissa la mancata qualificazione al campionato mondiale di calcio (dopo quella ai mondiali di Russia, ndr) che si svolgerà in Qatar dal novembre al dicembre 2022. E’ durato poco il sentimento di gioia per la conquista del titolo europeo di luglio che aveva illuso molti di essere tornati al tavolo delle grandi squadre del mondo. Nell’arco di otto mesi l’Italia si è ritrovata cacciata nel gruppo delle nazionali mediocri. Non partecipare due volte di seguito ai campionati del mondo è una tragedia in termini di immagine e di fatturato difficile da calcolare, al momento. Sarà il tempo ad indicare i valori esatti.

Non ci può consolare che anche altre nazionali importanti hanno vissuto momenti come questo (Spagna 1970-1974, Inghilterra 1974-1978, Francia 1970-1974 e 1990-1994, ndr) perché queste prestigiose scuole calcistiche hanno saputo capire gli errori, ripararli e ripartire con successivi ottimi risultati. Noi, invece, riusciremo nell’intento? Chi scrive è pessimista. Il calcio italiano ha iniziato la sua china discendente nel momento in cui non ha saputo interpretare la nefasta legge Bosman, facendone un “tana, libera tutti”.

Le componenti che oggi formano il mosaico caleidoscopico del mondo calcistico nazionale sono quanto di peggio possa esserci in attività.

Dal punto di vista organizzativo, la Figc non conta più nulla in Italia e anche all’estero (lontanissimi i tempi del grande Franchi), letteralmente ostaggio di società sempre più oberate da debiti, vittima di un sistema imperniato sui procuratori, alcuni dei quali potenti come multinazionali e interessati a gonfiare le valutazioni dei propri assistiti per ingigantire le quote delle loro provvigioni e, duole dirlo, anche colpevoli del declino di qualche loro rappresentato. Dal punto di vista tecnico, invece, è stata abbandonata la politica della valorizzazione dei talenti nazionali, mercificandoli, frazionando i centri di addestramento in miriadi di scuole calcio, ovviamente a pagamento, privilegiando al contempo l’importazione di talenti internazionali e quindi disincentivando i giovani italiani dall’amore per il gioco più bello del mondo.

Le rose delle squadre, dai campionati dilettanti salendo fino ai massimi livelli, sono infarcite di calciatori stranieri, spesso scadenti, visto lo stato pietoso delle finanze di tutto il movimento. Nelle coppe europee, inoltre, sono dodici anni che le squadre italiane non vincono alcun trofeo e, sa va bene, escono ai quarti di finale.

Dal punto di vista tecnico si gioca troppo, male, senza velocità, con tornei fatti su misura per le squadre di vertice, con arbitri inadeguati che sbagliano anche con l’ausilio della tecnologia. Per non parlare delle coppe nazionali, che potrebbero essere il fiore all’occhiello di tutto il movimento e che invece vengono svilite con formule assurde che sembrano ideate per far vincere sempre i soliti noti: come sarebbe bella una coppa Italia all’inglese!

Non immune da colpe e critiche, poi, è anche il sistema dei media, servile ogni oltre limite e in altri casi mieloso. Basta pensare all’irritante modo, ossia “canto degli italiani”, con cui viene presentato quello che personalmente mi limiterei a chiamare, senza retorica, inno nazionale.

Fra stranieri di quinta fascia e debiti si trascina stancamente il destino delle rappresentative, fatta eccezione per dei colpi di coda insperati. Cosa fare, dunque, per invertire questa nefasta tendenza?

Poche e severe decisioni: per prima cosa, impedire a giocatori stranieri, extra e comunitari, di giocare dalla serie B in giù, smaltendo il carico che c’è già, senza importarne altri. Obbligare ogni società ad avere un centro addestramento giovani calciatori, tipo l’antico Nagc, per poi avviare i più promettenti verso le categorie agonistiche. Tagliare le mani rapaci dei procuratori, espellerli dal mondo del calcio, come fu fatto nel 1966 all’indomani della sconfitta al mondiale inglese contro la Corea del Nord, che ci costò l’eliminazione, pur avendo una squadra tra le più forti delle sedici partecipanti (dissero allora che il ritiro azzurro era invaso da agenti di mercato, o mediatori come si chiamavano all’epoca). Essendo impossibile evitare l’impiego di calciatori stranieri in serie A, per effetto della legge Bosman, inserire il sistema delle quote. Libertà di tesseramento (se i presidenti che Brera chiamava ‘ricchi scemi’ ne vogliono cento ne paghino pure cento), ma obbligo di schierarne al massimo tre per partita contemporaneamente, facendone entrare in campo un quarto solo in caso di sostituzione della quota estera.

Serve riportare le nazionali in cima alla catena del movimento, dando alle rappresentative la massima precedenza e sospendere i campionati quando devono riunirsi in stage per la preparazione delle partite importanti, in particolare quando deve farlo la nazionale maggiore. Inoltre occorre tornare a formare tecnici federali realmente preparati, dai quali attingere i selezionatori di tutte le rappresentative.

Soltanto se capaci di decisioni forti, severe, tese a rompere il fronte degli interessi privati, quelli che hanno impedito la sospensione dell’ultima giornata di campionato, riusciremo ad invertire la tendenza. L’esplicita richiesta federale di sospendere il campionato per preparare al meglio la partita poi persa contro la Macedonia del Nord, che ha impedito all’Italia di qualificarsi ai mondiali qatarioti, è stata disattesa con ironia dalla Lega A, producendo il risultato di consegnare alla nazionale giocatori romanisti e laziali praticamente bolliti, dopo che si era giocato il derby tra Roma e Lazio, rendendo inoltre impossibile la convocazione del difensore Toloi dell’Atalanta, causa infortunio. Pertanto, solo se saremo capaci di decisioni del genere, sarà possibile aprire un altro ciclo azzurro e tornare da protagonisti con forze giovani e nuove ai mondiali del 2026, che saranno allargati a 48 partecipanti, dalla cui fase finale, pertanto, sarà più difficile farsi eliminare che qualificarsi.