Livorno - Nel giorno in cui il Livorno torna alla vittoria, dopo oltre due mesi, contro la quotata Pro Vercelli, viene da fare una riflessione che lascia in bocca tanta amarezza e che fa sentire il Livorno, sia detto senza polemica, figlio di un Dio minore.
Non capita infatti a tutti, nel corso di un campionato, vedersi giudicati da un Tribunale federale, di fatto, per la violazione della stessa norma e vedersi condannati ad una doppia penalizzazione condita da un'ammenda e dall'inibizione per il presidente della società. Tutto questo, nella presente disgraziatissima e tragica stagione, è invece capitato al Livorno, che si è visto così arricchire il corposo guinness dei primati in negativo che, da circa diciotto mesi, attanaglia la tormentata esistenza della blasonata maglia amaranto. E tanto, si può dire, rientra nella casistica della famosa legge di Murphy: se qualcosa può andare storto, lo farà, nel momento peggiore possibile.
Però, sempre senza vena polemica, viene da pensare quando si vede che la mano pesante viene usata per il Livorno, per scadenze effettivamente non rispettate, quando poi la Federazione, da novembre a febbraio, sposta le date di scadenza degli impegni societari, prorogandoli definitivamente al 31 maggio, a campionato finito, mentre la stessa Federcalcio non sembra aver voluto tenere la mano pesante contro la Lazio per fatti che, accertati, sembrano ben più gravi rispetto a quelli per i quali il Livorno è stato quasi condannato alla Serie D.
Il club laziale, lo ricordiamo, era sotto accusa nelle persone del presidente Claudio Lotito, del direttore sanitario Ivo Pulcini e del medico sociale Fabio Rodia per non aver comunicato immediatamente alle Asl competenti la positività al covid-19 di otto tesserati il 27 ottobre 2020, di otto tesserati il 3 novembre e di tre tesserati il 30 ottobre. Presidente e medici sono andati a giudizio, inoltre, anche per altre due questioni: la prima è l'aver consentito a tre calciatori positivi (Immobile, Strakosha e Leiva, ndr) di svolgere con la squadra l'allenamento del 3 novembre scorso; il secondo è non avere sottoposto all'isolamento di almeno dieci giorni un calciatore utilizzato in Torino-Lazio (Immobile, ndr) e un altro poi inserito nella distinta di Lazio-Juventus (Djavan Anderson, ndr). Si tratta di accuse da far tremare i polsi, formulate con mano pesante.
Nel complesso sembra che non siano state adempiute le procedure di comunicazione alle competenti Asl, eccezion fatta per una email di contenuto generico, priva di qualsiasi identificazione di positivi e di prova documentale, sia dell'avvenuto reale invio, sia della ricezione. Non risultano attuate le misure di isolamento e quarantena prescritte dai protocolli sanitari per contenere il contagio da covid-19, non avendo i positivi rispettato il termine minimo di isolamento fissato dalle circolari del ministero della Salute, né avendo i soggetti che con i primi avevano avuto contatti stretti (tutto il gruppo squadra) tenuto una condotta rispettosa della prescritta quarantena". Tanto che si ipotizzava, almeno in prima battuta, una penalizzazione dai sei ai dieci punti per il club biancoceleste, anche se la richiesta della Procura federale si era concentrata su una multa di 200 mila euro, tredici mesi e dieci giorni di inibizione a Lotito, sedici mesi ciascuno per Pulcini e Rodia, con la conseguenza che Lotito, superando il limite di dodici mesi di inibizione in dieci anni, sarebbe automaticamente decaduto dalla carica di di rappresentante della Lega A in Federcalcio.
Invece, niente di tutto questo. La montagna della giustizia federale a partorito il classico topolino: nessuna penalizzazione alla squadra, sette mesi di inibizione a Lotito, dodici ai medici sociali Rodia e Pulcini, e 150 mila euro di multa alla società.
Il caso tamponi, dunque svanisce lasciando vaghi ricordi, molti meno rispetto a quanto lasciavano presupporre le 468 pagine di atti presentati dalla Procura al Tribunale. La Lazio salva la propria classifica e si salva anche Lotito, che evita la condanna che lo avrebbe fatto decadere da ogni carica in seno alla Figc, a meno che la Corte d'appello federale non aggravi l'inibizione, ma ci crediamo poco.
Figli e figliastri, in corso di giustizia federale, facciamocene una ragione pur con tanta amarezza. Eppure, guardando in casa nostra, cerchiamo nel futuro prossimo di essere più uniti intorno alla bandiera, evitando le ondate dei commenti da trivio, talvolta astiosi, altre volte sprezzanti, verso chi, nonostante tutto, in questi mesi difficili ha operato ed opera per condurre il Livorno verso un futuro meno incerto e drammatico. A buon intenditor...
Autore: Paolo Verner / Twitter: @amarantanews
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