Livorno – Il Livorno è in Serie D. Il tanto temuto, e più volte rinviato, passo verso il baratro è stato compiuto. Nel modo peggiore. In una partita da dentro o fuori gli amaranto hanno mostrato la loro versione più molle (o reale...) al cospetto di un avversario, la Pro Sesto, tutt'altro che irresistibile, non riuscendo così a cogliere il salvagente playout gentilmente lanciato da Lucchese e Pistoiese, sconfitte a Renate e Gorgonzola.
Ma quello che (non) si è visto sul campo era, ahinoi, ampiamente preventivabile. La seconda retrocessione consecutiva è frutto di una gestione societaria - sempre che di società si possa parlare – tra il doloso e lo scellerato. La mala parata si è vista subito: la cessione a dir poco macchinosa e opaca delle quote, le liti e le ripicche tra i soci, l'entrata nel club - formalmente e informalmente - di soggetti dal passato tutt'altro che trasparente sono stati solo un patetico prologo.
Con il passare dei mesi infatti, come prevedibile, le cose sono andate sempre peggio: le penalizzazioni per gli stipendi pagati in ritardo, i dipendenti lasciati a casa, la squadra che si deve pagare il pranzo di tasca propria, lo sfratto dal Centro Coni di Tirrenia, le questue per organizzare le trasferte. Un'umiliazione continua e costante. A questo, sul piano tecnico, aggiungiamo una rosa che, in almeno tre momenti, è stata disfatta e rifatta con tutte le conseguenze del caso.
Sarà Serie D. Senza se e senza ma. Essendo stati penalizzati il ripescaggio non sarà – giustamente – affar nostro. La quarta serie non è un problema, i campi polverosi sono parte della storia amaranto, e vengono rivendicati giustamente anche con una buona dose di orgoglio. Siamo quelli degli esodi a Voghera e Castel di Sangro, gente che è andata a testa alta a Staggia Senese come a San Siro. L'esilio sui campetti di Querceta, Seravezza e Borgo a Mozzano non ci spaventa. A patto però che questo ciclo si chiuda. In modo definitivo e una volta per tutte.
Ma al futuro penseremo un minuto dopo che questi signori toglieranno il disturbo. Adesso la priorità è che se ne vadano. Tutti. Chi ha ridotto la maglia amaranto a una pezza da piedi deve fare le valigie. Subito. Immediatamente. Senza giochini, senza prestanome. Senza complici.
Amaranto significa “che non appassisce”. Se lo mettessero in testa tutti quei signori che abbiamo avuto il dispiacere di incrociare in questa discesa agli inferi: loro sono destinati a sparire e cadere nel dimenticatoio, il Livorno e il suo popolo, no.
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