Livorno - Il giorno dopo la pubblicazione delle motivazioni del Tribunale del Riesame relative alla nuova misura cautelare, ossia l’obbligo di dimora al posto degli arresti domiciliari, il giovane calciatore Mattia Lucarelli ha affidato ai social quest’oggi, venerdì 3 marzo, il suo pensiero sulla vicenda, precisando di non potersi sbilanciare in quanto ci sono delle indagini in corso.
Il motivo per cui il giocatore del Livorno, accusato di stupro di gruppo assieme al suo compagno di squadra Federico Apolloni e ad altri tre giovani livornesi, ha deciso di “rompere il silenzio che mi ero imposto” va ricercato nel fatto che “di bugie ne ho lette e sentite troppe”.
“Ancora oggi la solita dose quotidiana di fango mediatico, condita da una serie di assurdità che non riesco a spiegarmi”, scrive Lucarelli su Instagram. “Leggo oggi sui giornali che io e i miei amici ci saremmo giocati a sasso, forbice e carta il ‘diritto di precedenza’ sulla ragazza: circostanza del tutto inventata e mai neppure denunciata dalla ragazza”. E ancora: “Leggo che avremmo ‘ridicolizzato’ la ragazza perché dicevamo frasi volgari in una lingua che lei non capiva (è un comportamento da stupidi ma qual è il reato?)”.
Il ragazzo continua: “L’accusa ora ipotizza che forse il consenso della ragazza c’era, era stato esplicitato. Ma siccome dal terzo interrogatorio in poi (non nei primi due) aveva bevuto il consenso non vale”. Lucarelli inoltre afferma che gli “piacerebbe poter parlare liberamente, poter discutere di quello che è veramente successo quella sera e anche nei giorni successivi” ma precisa che “le indagini sono ancora in corso e vanno rispettate anche quando costa fatica stare zitti”. La chiosa è sul fatto che, in merito alla lunga motivazione, circa cinquanta pagine, i giornali avrebbero “tirato fuori mezza pagina” per evidenziare “quello che serviva per vendere più copie”.
Il padre di Mattia, Cristiano Lucarelli, ex capitano ed allenatore amaranto, attuale tecnico della Ternana, ha rilanciato il post del figlio sulla propria pagina Facebook accompagnandolo con un commento: “Si chiama induzione alla disinformazione”.
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