Livorno - C'era un italiano un americano e un argentino.. No, non stiamo raccontando una barzelletta, ma poco ci manca. Perché il momento pare veramente propizio per mettere in pasto alla tifoseria le storie più strampalate su un'eventuale cessione societaria imminente.
Quasi che la vendita di una società di calcio sia affare alla portata di tutti e soprattutto così appetibile in tempi di crisi come quelli attuali.
Realtà dei fatti vuole che il Livorno quest'anno si sia reso protagonista della gestione più disastrata della sua centenaria storia, con una squadra nata male e senza capo né coda, e un campionato fatto di sconfitte e figuracce a ripetizione.
E questo è pane per i denti di tanti detrattori, che sono tornati in auge dopo essere stati (giustamente) tenuti a bada negli anni d'oro della gestione Spinelli, con i risultati del campo che davano ragione all'attuale dirigenza. Oggi è fin troppo facile puntarvi il dito contro, chiedere a gran voce un cambio e vedere se prima o poi a furia di tentativi ci si azzecca.
In un momento in cui la disaffezione ai colori amaranto è evidente, con lo stadio vuoto (e non solo a causa delle restrizioni) e una squadra che è ben lungi da ritenersi adatta alla piazza, la parola d'ordine dovrebbe essere quella di ricompattare l'ambiente e cercare tutti insieme di gestire al meglio questo periodo di inevitabile transizione.
Perché certi periodi sono fisiologici, e dopo un ventennio vissuto ad alti livelli un momento simile era inevitabile: basti pensare ad un'intera generazione di giovani cresciuti col Livorno tra la B e la A,quando le passate generazioni si dovevano accontentare dei campetti di periferia.
A nessuno fa piacere vedere la maglia amaranto trattata in queste condizioni, con un presidente disaffezionato, desideroso di passare la mano da un quinquennio e una squadra logica conseguenza di tutto questo: ma al momento, con le trattative per la cessione che sono ancora prodromiche (per non dire inventate), l'attuale proprietà è l'unica che può garantire la continuazione del calcio a Livorno ad alti livelli.
Se poi ci si vuole illudere che qualche avventuriero, ben presentato in un articolo di giornale spendendo pure il nome di qualche vecchia gloria amaranto (ieri Protti e Amelia, oggi Vargas), sia la soluzione di tutto questo, liberi di farlo.
Il Livorno dovrebbe essere patrimonio di tutti i livornesi, trattato con i guanti e con rispetto, senza lotte intestine per meri interessi personali; la maturità di una piazza e l'appetibilità della sua massima espressione calcistica cittadina la si misura anche in questo modo. E un potenziale acquirente ha anche sotto gli occhi il trattamento riservato all'attuale proprietà, con l'idea che nel bene o nel male gli potrebbe essere riservato lo stesso metro e non solo in caso di scarsi risultati sportivi.
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