Vent'anni dai fatti di Pisa, Ceccarini: "Oggi sarebbe diverso"

17.02.2022 23:10 di Giovanni Marino   vedi letture
Vent'anni dai fatti di Pisa, Ceccarini: "Oggi sarebbe diverso"
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© foto di Tommaso Maschio

Livorno – Il 17 febbraio 2002, esattamente vent’anni fa, un gruppo di giornalisti livornesi venne prima provocato ed offeso, poi aggredito anche con oggetti contundenti, nelle aree riservate alla stampa dello stadio di Pisa. Tra questi vi era Marco Ceccarini, all’epoca direttore di Amaranta. Nonostante ciò, le istituzioni giornalistiche, in particolare l’Ordine dei giornalisti della Toscana, non espressero alcuna solidarietà. Fu chiaramente, quello di Pisa, un fatto molto grave, inaudito, che lo stesso Ceccarini ha poi raccontato in un libro, dal titolo “I fatti di Pisa”, che Articolo 21 ha pubblicato nel 2004. Oggi, giovedì 17 febbraio 2022, ne abbiamo parlato con il nostro collega.

Iniziamo dalla fine. Sono passati due decenni da quel giorno. Che ricordo hai?

“Un episodio assurdo, incredibile, grottesco, che non auguro a nessuno di vivere. Non tanto per l’aggressione subita, perché un giornalista che fa il suo mestiere deve sempre mettere in conto che ciò possa accadere, quanto per quello che successe ad opera di alcuni colleghi durante e dopo la partita”.

Se non sbaglio, l’Ordine dei giornalisti toscano e le altre istituzioni della stampa non spesero una parola a vostro favore. Nessuno vi dette la benché minima solidarietà.

“E’ così, purtroppo. I tempi sono per fortuna cambiati, da allora. Credo che oggi una cosa del genere non potrebbe più accadere. Ma vent’anni fa, ahimé, successe. Nessuna istituzione giornalistica ci inviò un messaggio di vicinanza. In particolare pesò il silenzio dell’Ordine dei giornalisti della Toscana che non disse nulla, non intervenne, nonostante fosse stato avvertito con immediatezza di quanto accaduto”.

Quanto accadde, ti va di ricordarlo?

“In estrema sintesi, durante e al termine del derby tra Pisa e Livorno, fummo prima insultati e provocati, poi aggrediti verbalmente e fisicamente, infine venne raccontata una realtà completamente inventata per giustificare l’ingiustificabile”.

Invece voi foste aggrediti ed alcuni di voi dovettero ricorrere alle cure ospedaliere, no?

“Esatto. Dopo che un primo tentativo di aggressione si consumò in tribuna stampa davanti alle telecamere di un’emittente locale che stava effettuando una diretta, mentre scendevamo le scale che portano dalla tribuna alla sala stampa fummo circondati e colpiti anche con delle mazze da una dozzina, forse più, di tifosi locali. Tra di noi c’era anche una collega donna. Anche lei fu strattonata e colpita. All’operatore di un’emittente livornese gettarono con un calcio la telecamera in terra. Un collega che non è più tra noi ricevette un pugno. Io fui colpito, alle spalle, con una bastonata in testa. Quando mi rinvenni, gli aggressori erano fuggiti”.

Pazzesco...

“Da veri codardi, direi, perché aggredire in dodici o quindici tre o quattro persone, oltretutto alle spalle, oltretutto con mazze e bastoni, è da vigliacchi”.

Eppure non finì lì...

“No, non finì lì. Una volta scesi nel sottopancia dello stadio, gli steward del Pisa non ci fecero entrare in sala stampa. O meglio, tentarono di non farci entrare. Due di noi ce la fecero, io e la collega fummo invece bloccati sulla porta con la scusa che non avevamo il pass. In realtà il pass lo avevamo, eccome. Ce lo ritirò un addetto e il suo collega, accanto a lui, un attimo dopo ci disse che senza quello non potevamo entrare. Colui che ci aveva ritirato il pass fece finta di non ricordare. Era come parlare al muro. Tutto surreale. Tutto pazzesco. Eravamo scioccati per quanto accaduto poco prima e ci scioccava quanto stava accadendo in quel momento”.

Come reagiste?

“Minacciammo di chiamare la Polizia e in effetti, pur senza esito, iniziammo a chiamarla davanti agli addetti che stavano commettendo questo abuso. Ciò servì, sul momento, a farci entrare, me e la collega, in un’area all’aperto e protetta dal pubblico, ricavata sotto le gradinate, da cui si poteva accedere alla sala stampa. La discussione sul nostro diritto ad entrare in sala stampa proseguì lì, finché accadde una cosa a dir poco folle”.

Cioè?

“Tre o quattro persone che non so se erano già dentro o furono fatte entrare appositamente in quell’area, ci vennero incontro, di corsa, brandendo in aria qualcosa per colpirci. Eravamo lì, pronti a far fronte nell’indifferenza generale a questi tre o quattro invasati, quando un signore che non so chi fosse e che non finirò mai di ringraziare, ci aprì una porta che a me pareva secondaria e che invece mi condusse, con grande stupore, in una stanza che scoprì essere la sala stampa. Quell’uomo non era uno degli steward che avevano fatto l’indegna pantomima del pass, ma un qualche collaboratore del Pisa che, guidato dal buonsenso, agì d’impeto per la nostra salvaguardia”.

Veniste messi al sicuro così?

“Appena l’addetto richiuse il varco, mentre sentivo i bastoni degli aggressori infrangersi sulla porta, mi accorsi che la collega non era entrata. Pensando che fosse rimasta esposta al pericolo, cercai di tornare fuori per andare in suo soccorso, ma la porta era stata chiusa a chiave. Scioccato tornai indietro, quasi sbattendo in alcuni giocatori del Livorno che rilasciavano interviste. Subito dopo, poi, vidi arrivare verso di me un uomo in jeans e piumino che, con fare molto risoluto, mi si avvicinò e mi chiese se ero Ceccarini. Io dissi di sì. Pensai che fosse uno di quei tre o quattro che poco prima avevano tentato di aggredirci con sassi e bastoni. Invece quell’uomo mi fece un sorriso e mi disse: venga con me, il peggio è passato”.

Incredibile. Chi era?

“Era un poliziotto. Uscimmo e trovai la collega con un’ispettrice di Polizia. La tentata aggressione era stata infatti vista da alcuni agenti che erano in prossimità di quell’area per presidiarla da eventuali incursioni di tifosi, dato che proprio lì erano parcheggiati i pulman delle squadre. Attratti dalle urla degli aggressori, si erano mossi verso la nostra direzione. La collega aveva in quel frangente riconosciuto un’ispettrice che per motivi professionali conosceva, così invece di varcare la porta secondaria, come avevo fatto io, era corsa verso di lei, che era in borghese, per chiedere aiuto. I poliziotti avevano subito allontanato gli aggressori. L’ispettrice aveva poi inviato un agente della Polizia a recuperarmi dentro la sala stampa”.

Un epilogo felice, almeno sul momento.

“Fummo scortati dalla Polizia fuori dallo stadio, fino alle nostre macchine, per permetterci di poter andare a sottoporci alle cure sanitarie ed ospedaliere”.

Purtroppo, però, le cose non finirono lì. Giusto?

“Già, non finirono lì. Anzi, nei giorni successivi fummo vittime di una mistificazione allucinante e uno stravolgimento della realtà di cui furono protagonisti, purtroppo, anche alcuni colleghi livornesi”.

Spiegati meglio.

“Fin dal giorno successivo, sia i colleghi che ci avevano deriso in diretta televisiva e che col loro intollerabile comportamento avevano innescato una situazione di pericolo per noi, sia altri che agirono per motivi a me sconosciuti, iniziarono a farci passare, noi che eravamo stati le vittime di una giornata di follia, come gli artefici di una grave provocazione per giustificare l’allucinante situazione che loro stessi avevano creato”.

Venne dunque operato un ribaltamento della realtà. Ma cosa successe esattamente?

“In estrema sintesi, come disse nel corso di una trasmissione televisiva qualche giorno dopo un tifoso del Pisa mai identificato, io avrei istigato alla violenza. Questa tesi, che fa ridere, fu in realtà sposata da diversi colleghi per giustificare una giornata in cui alcuni inviati, tra cui il sottoscritto, potevano anche rimetterci la pelle”.

E’ vero che nei giorni successi riceveste minacce ed intimidazioni?

“Sì, certo. Presentammo denunce, querele, esposti, ma l’individuazione degli autori di e-mail o telefonate, all’epoca, non era cosa semplice”.

Anche dei giornalisti livornesi si prestarono a questo?

“Si, una cosa penosa. Ricordo che uno di loro si permise di dare giudizi e spiegare, lui che quel giorno non era nemmeno a Pisa, come erano andate le cose. Scrisse ciò su un ‘muro’ (una sorta di social ante-litteram, ndr) di un sito di sportivi allora molto in voga. Però va detto che furono ben pochi, tra i colleghi livornesi, coloro che si comportarono così. I più mi espressero, ci espressero, la loro personale vicinanza. E qualche bel messaggio, sempre a livello individuale, arrivò anche da Pisa”.

Tu, in particolare, cosa avresti fatto, secondo i detrattori, di così straordinariamente inaccettabile per giustificare tutta quella violenza?

“Avrei fatto il gesto del medio a un’intera tribuna di tifosi avversari, secondo loro, nel momento del gol del vantaggio del Livorno. Io da solo, con al fianco una collega, a saltare con lei su una balaustra ed inveire contro migliaia di tifosi di casa! E’ un coraggio che purtroppo non ho. Per questo, però, i tifosi locali avrebbero reagito non sul momento, come logica vuole, ma a scoppio ritardato, circa venti minuti dopo, quando il Pisa raggiunse il provvisorio pareggio. A quel punto, come disse un giornalista locale che si affannava a giustificare la violenza gratuita, i tifosi locali si sarebbero ricordati di quanto era accaduto prima ed era scoppiato il parapiglia. Per fortuna quella fase è documentata da immagini televisive che ancora conservo”.

Ma tu lo facesti o no il gesto del medio?

“Neanche per idea. Mai fatto quel gesto. Ma d’altronde il racconto dei detrattori fu così strampalato che qualcuno parlò di gesto dell’ombrello, altri del medio, mentre altri, correttamente, affermarono che nulla di particolare era accaduto e che le aggressioni erano state del tutto gratuite”.

Una situazione pazzesca...

“Tutto quello che feci, al momento del pareggio del Pisa e non del primo gol del Livorno, è rispondere ‘cosa vuoi’ a un provocatore che scavalcando due o tre file di spettatori era venuto sotto di noi giornalisti, proprio dove eravamo io e la collega, per offenderci e tirarci degli oggetti che aveva in mano, apostrofando in particolare la collega. Io dissi ‘cosa vuoi’ in modo tranquillo, facendo il gesto della mano ripiegata, non altro. Ciò però bastò far tracimare lui e altri energumeni in tribuna stampa per tentare di aggredirci. Tale tentativo di aggressione venne bloccato dalla Guardia di finanza. Fummo di conseguenza spostati nell’angolo opposto della tribuna stampa, mentre in diretta alcuni giornalisti locali, a nostra insaputa, ci insultavano e ci additavano come dei provocatori. Io seppi ciò da un mio cugino che stava assistendo alla trasmissione e che quando si accorse che stavano offendendo anche me, inquadrandomi, mi chiamò al cellulare. Sulle scale che portavano alla sala stampa, poi, subimmo l’aggressione che ho descritto, dopodiché nel sottopancia dello stadio accadde il resto”.

In ogni caso, anche se tu avessi fatto il gesto del medio o qualunque altro gesto, una simile violenza non sarebbe mai stata giustificabile.

“Quanto accadde fu pura follia e io e gli altri giornalisti aggrediti, quel giorno, corremmo veramente un rischio altissimo. Ci fu indifferenza. Non fummo tutelati né dagli addetti alla sicurezza del Pisa né trovammo trovammo riscontro nel 112 e nel 113 che chiamammo più volte. I poliziotti che intervennero lo fecero, come loro stessi ci spiegarono, non perché inviati a seguito delle nostre richieste di soccorso ma perché erano in un’area attigua e si accorsero che qualcosa non andava nella zona esterna prospiciente la sala stampa. Questo naturalmente non sminuisce il valore dell’intervento di quei poliziotti, che letteralmente ci salvarono, ma la fattispecie va raccontata per come si svolse in modo da descrivere al meglio la situazione di pericolo, l’assenza di tutele, che in quel pomeriggio di gratuita violenza ci trovammo a vivere”.

Per concludere, vent’anni dopo, cosa porti con te di quella brutta esperienza?

“Sicuramente il silenzio assordante dell’Ordine dei giornalisti toscano e delle altre istituzioni giornalistiche. Ciò mi amareggiò moltissimo. Oggi, ripeto, credo che una cosa del genere non accadrebbe più perché c’è molta più attenzione su episodi e situazioni come queste. Ritengo anche che il problema fu di quella classe dirigente a livello ordinistico, non mio, anche perché l’aggressione era documentata e passò poi al vaglio di un procedimento all’interno dello stesso Ordine in virtù del quale a livello nazionale fu evidenziato come il comportamento dei giornalisti che quel giorno ci accusarono ingiustamente, esasperando una situazione già esplosiva perché relativa a un derby di calcio, non era stato consono al ruolo e al decoro della professione giornalistica”.

Alla fine, dunque, l’Ordine si è espresso in maniera solidale con te?

“No, ha solo affermato che chi si rese responsabile della gazzarra mediatica non ebbe un comportamento deontologicamente adeguato a dei giornalisti nell’esercizio della loro professione, ma nessuno è stato sanzionato ed a noi non è mai giunto alcun messaggio di solidarietà”.

Un po’ poco, in effetti. E di quei colleghi livornesi che si accodarono al dileggio?

“Non ti curar di loro, ma guarda e passa. Il mondo del giornalismo è grande ed a Livorno, come a Pisa, come dappertutto, ci sono fior di colleghi, bravi e leali. Mi piace rapportarmi soprattutto con loro”.