Livorno – Come oggi, 122 anni fa, nasceva a Livorno il calciatore Mario Magnozzi, il grande Magnò, mezzala del Livorno, del Milan e della Nazionale italiana. Era il 20 marzo 1902.
Per un errore dell’ufficio anagrafe del Comune, nel certificato di nascita fu registrato di “sesso femminino”. L’equivoco durò per anni, tanto che nel novembre 1926 fu erroneamente riportato, sempre all’anagrafe, il suo matrimonio con tale Dino Ricci, in realtà Dina Ricci, sua moglie, da cui ebbe i figli Mara e Mario Junior. Il dato fu in seguito corretto dal Comune di Livorno.
Magnozzi è stato uno dei più grandi calciatori italiani degli anni Venti e Trenta del Novecento, uno dei primi calciatori non del Nord a giocare con continuità in Nazionale. Fu medaglia di bronzo alle Olimpiadi di Amsterdam nel 1928 e campione d’Europa nel 1930 a seguito della vittoria dell’Italia nella Coppa Internazionale, l’antesignana dell’attuale Europeo.
Una stella, Mario Magnozzi, uno dei più grandi calciatori livornesi di tutti i tempi, con 29 presenze con la maglia azzurra dell’Italia, di cui 26 giocate da giocatore del Livorno. E 13 gol.
Da ragazzino lo chiamavano Crognolo, ma poi venne ribattezzato il Motorino perché correva, correva come se avesse un motore al posto delle gambe, e da quel momento fu per tutti il Motorino amaranto. Il suo nome, il suo volto abbronzato e scavato dal libeccio, è rimasto per sempre legato all’impresa sfiorata nel 1920 da quel manipolo di irriverenti ragazzi che a Bologna contesero lo scudetto all’Inter od a quella del novembre 1923 quando a Villa Chayes sconfissero l’invitto Genoa, già pluricampione d’Italia, che non perdeva da oltre due anni. Ma sono innumerevoli, quasi infinite, le occasioni in cui, al suono delle campane di San Jacopo, si rimboccava le maniche e spronava il Livorno alla riscossa.
Il suo nome è legato al Livorno e in subordine al Milan, certo alla Nazionale, ma come dimenticare che è stato anche colui che ha fatto decollare il calcio a Rieti grazie alla fiducia accordatagli dal barone Alberto Fassini e che ha condotto l’Aek Atene a una finale di Coppa di Grecia. Per non dire dello straordinario lavoro svolto a Milano al gruppo sportivo dell’Alfa Romeo, dove a una squadra dopolavoristica dette le sembianze di un vero club calcistico, così come dello straordinario lavoro condotto negli Stati Uniti dove alla fine degli anni Cinquanta si trasferì al seguito dei figli e dove contribuì a far sviluppare il calcio nordamericano.
Magnozzi per Livorno è un onore e un vanto. Ricordarlo oggi, nell’anniversario della sua nascita, è un dovere. Ogni appassionato di calcio, che sia livornese o no, ha l’obbligo morale di non disperdere la memoria di questo grande campione che appartiene al passato, ovvio, ma che è ancora presente nell’immaginario sportivo italiano e in particolare della città dei Quattro mori. Un uomo, un campione, un calciatore, che avrebbe potuto rimanere in America, dove aveva tutto, ma che una volta malato, alla fine degli anni Sessanta, volle tornare a Livorno per chiudere nella città in cui era nato, il 25 giugno 1971, la propria esistenza terrena. E che ha voluto essere sepolto non distante dallo stadio d’Ardenza per sentire per sempre, come diceva lui, il grido della folla e l’incitamento dei tifosi livornesi alla squadra amaranto.
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