Senza Fede

31.07.2014 20:46 di  Gianluca Andreuccetti   vedi letture
Senza Fede
TUTTOmercatoWEB.com
© foto di Federico Gaetano

Roma – Il tifo per una squadra di calcio è un sentimento particolarmente difficile da descrivere: si tratta di una forma di sostegno incondizionato nei confronti di una maglia e di un gruppo di calciatori, non necessariamente professionisti, che si rinnova di giorno in giorno e di settimana in settimana, in funzione dei risultati raccolti sul campo e del senso di appartenenza a determinati colori, che quel gruppo è capace di trasmettere a chi lo sostiene dagli spalti. Mi avventuro senza presunzione in quest’analisi perché la mia storia di tifoso è lì a ricordarmi che l’orgoglio di tifare Livorno mi deriva non certo dai risultati raccolti sul campo, che pure ci sono stati, ma da quel senso di appartenenza a una realtà sociale e ad un territorio, che l’attaccamento alla maglia di un gruppo di calciatori è in grado di trasmettere e di rinnovare. E quando penso a un giocatore del Livorno, che ha vissuto in prima linea tante delle vittorie e tante delle sconfitte che hanno costellato la storia degli ultimi cinque anni di calcio a Livorno, penso anche a Federico Dionisi, il bomber di Cantalice.

Non faccio che pensare a lui, da quando il Frosinone ha comunicato di aver acquistato a titolo definitivo le prestazioni sportive del calciatore per i prossimi tre anni. Non faccio che pensare ai tanti momenti belli e ai (pochi) momenti brutti che Dionisi e il popolo amaranto hanno vissuto insieme: e quindi, al mio compiacimento di tifoso per l’acquisto da parte del Livorno di un calciatore capace di firmare caterve di gol nelle categorie inferiori; al fatto che Federico sia uno dei componenti del gruppo storico del Livorno di scena a Pescara sabato 14 aprile 2012 quando morì Piermario Morosini, al momento in cui Federico, nella stagione del suo debutto in Serie A, entrò in campo contro l’Inter di Mourinho in una fase in cui Mago Merlino Serse Cosmi (così lo Special One soprannominò il tecnico umbro) sembrava aver trovato il bandolo della matassa di un Livorno poi mestamente retrocesso in Serie B; al pallonetto contro la Juve Stabia nell’ultimo impegno dell’anno solare 2012 che rimane il più bel gol di Federico con la maglia amaranto, all’arrampicata sulla balaustra della curva Nord dopo il gol del 3 a 0 contro il Brescia alla penultima giornata di campionato e al nuovo debutto in Serie A nella stagione appena trascorsa, quando il mister Nicola provò a suonare la carica contro la Roma, mandando in campo Federico al posto di Belingheri.

Con tutto questo, non voglio dire che Dionisi sia un eroe dei nostri tempi o che sia un giocatore insostituibile: Dionisi era un giocatore del Livorno con il contratto in scadenza e ha preferito accettare la corte del Frosinone piuttosto che negoziare con il Livorno un rinnovo del contratto a cifre inferiori rispetto a quelle proposte dalla società laziale, ma è al tempo stesso un professionista serio e un giocatore importante, che aveva fatto della città di Livorno la sua città e che sarebbe stato pronto a ripartire dalla Serie B con una tifoseria che aveva saputo trascinare dalla sua parte a suon di goal e di prestazioni.

E’ ipotizzabile che una prima rottura tra Dionisi e la società di via Indipendenza si sia consumata undici mesi fa quando si preferì mandare a giocare Federico in Portogallo allo Sporting Club Olhanense piuttosto che consentirgli di giocarsi le sue carte in Serie A: forse Federico avrebbe avuto orecchi meno attenti alle lusinghe di altri club se si fosse sentito più considerato dal Livorno e dalla squadra ai quali aveva dato tanto in questi anni.

A livello tecnico, Dionisi non lascia un vuoto incolmabile ed è un giocatore sostituibile e l’estate 2014 non passerà certo alla storia, calcisticamente parlando, per l’estate della cessione di Dionisi, ma per l’estate della cessione di Paulinho: tuttavia, rappresenta in maniera plastica, uno di quei tanti casi di giocatori amaranto (Alex Lucarelli, Grandoni, Danilevicius, eccetera.) capaci di dare alla causa amaranto, al di là delle proprie potenzialità tecnico–tattiche, ma sacrificati sull’altare del pareggio di bilancio, quando sarebbe stato possibile tagliare da altre parti ma consentire alla tifoseria di individuare una personalità nella quale identificarsi. In altre parole, sarebbe molto più oneroso per il Livorno resistere alle sirene della Serie A e impedire a Bernardini, Ceccherini, Emerson o Siligardi un legittimo e, dal loro punto di vista, auspicabile immediato ritorno tra i grandi con una nuova squadra piuttosto che soddisfare le pretese economiche di Dionisi.

Ciao Federico, sappi che quando ci ritroveremo tu non sarai mai un avversario, ma un professionista serio che si è saputo immedesimare nella causa di Livorno e del Livorno e che ha reso i suoi tifosi orgogliosi di averti nelle proprie fila.

Ai lettori di Amaranta che abbiano la pazienza di continuare a leggere, racconto qui di seguito il mio primo e finora unico incontro con Federico Dionisi.

“Era un piovosissimo sabato del dicembre 2012 e il Livorno di Nicola era appena stato eliminato dal Bologna in Coppa Italia grazie ad un goal di Pasquato, ma la squadra amaranto era già in fase di decollo e stava vivendo quel meraviglioso autunno che sarebbe stato il trampolino di lancio verso la conquista della Serie A, in primavera: al cospetto di un Livorno secondo in classifica, alle spalle del Sassuolo, e reduce da cinque vittorie nelle ultime sei partite, era di scena un volenteroso Grosseto ancorato dalla penalizzazione all’ultimo posto in classifica e già al terzo allenatore in panchina. Più che l’avversario, a destare preoccupazione in casa amaranto, erano le tante assenze per infortunio, il campo al limite della praticabilità e l’impegno infrasettimanale, che gravava sulle spalle degli uomini di Nicola e non su quelle dell’undici maremmano. Ricordo con particolare simpatia quella partita perché rimane l’unica vittoria del Livorno in un match casalingo ufficiale a cui io ho assistito dal vivo: io e un mio caro amico eravamo partiti da San Vincenzo in automobile e, solo dopo aver affrontato tanta e tanta pioggia, eravamo arrivati a Livorno e, incerti sul fatto che la partita si sarebbe effettivamente giocata, avevamo deciso di assistere alla partita dalla tribuna centrale per non rischiare di dover sopportare una pioggia torrenziale durante l’incontro. Nel corso dell’intervallo di quella partita, conclusasi poi sul risultato di 4 a 0, ho vissuto uno dei più bei momenti nella mia storia di tifoso perché è passato a pochi centimetri da me Federico Dionisi, il quale tornava in tribuna dopo aver premiato, con una targa commemorativa in rappresentanza della società, il pugile livornese Lenny Bottai. Quel sabato lì, Federico sedeva in tribuna perché era infortunato: si era procurato una distorsione alla caviglia nei giorni addietro e saliva gli scalini uno a uno per non sforzare l’arto infortunato.

“In bocca al lupo!”, gli dissi io e gli misi una mano sulla spalla: Federico mi guardò, mi strinse la mano, mi ringraziò e scambiò con me qualche parola. Durante il resto della partita, lo seguii con lo sguardo mentre seguiva la partita e, per il nervosismo, mangiava in continuazione le sue unghie, non potendo essere della partita. In quel precedente frangente, il ragazzo di Cantalice, diventato bomber, mi diede una sensazione di calore, di interesse nei confronti dei suoi tifosi e della piazza intera, della quale stava indossando i colori: mi ha in qualche modo dimostrato, a livello umano così come a livello professionale, di tenere profondamente a quello che stava facendo e di dare particolare importanza ai suoi sostenitori: in tre parole, mi ha confermato di essere un professionista attaccato alla maglia”.