Quel nero mercoledì

31.10.2014 10:16 di  Gianluca Andreuccetti   vedi letture
Quel nero mercoledì
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© foto di Marcello Casarotti/TuttoLegaPro.com

Roma - Mi sia perdonata la digressione. E’ vero, riconosco che forse sarebbe il caso di stare a recriminare sul pareggio di martedì del Livorno a Cittadella e, solo dopo aver fatto i complimenti al baldanzoso avversario, immaginare come sarebbe stata oggi la classifica con due punti in più oppure cercare in tutti i modi di riscaldare un po’ l’ambiente in vista della delicata sfida di sabato pomeriggio contro il Bologna. Ma non farò niente di tutto questo perché credo che ciò che tiene insieme i componenti di una redazione come quella di Amaranta, al di là della comune passione per una squadra di calcio, e che squadra!, sia un amore sconfinato per lo sport e per il calcio in particolare. E partendo da questo presupposto, ritengo che un genuino appassionato di calcio non possa non inserire questo mercoledì 29 ottobre tra le pagine sfortunate del calcio italiano, per la contemporanea scomparsa di Klas Ingesson e di Antonio Sibilia, due personaggi non più attuali e diversissimi tra loro che hanno attraversato la storia del nostro calcio in tempi recenti, riscuotendo, riconoscimenti per i loro meriti, e simpatie, ben al di fuori delle piazze in cui si sono trovati ad operare.
Klas Ingesson era nato a Odeshog in Svezia il 20 agosto 1968 ed è venuto a mancare a causa degli effetti degenerativi legati alla presenza di un mieloma multiplo, che combatteva dal 2009. Il mieloma multiplo è una patologia del sistema immunitario, che ha, tra le sue conseguenze più devastanti, l’insorgenza di una forma gravissima di osteoporosi. Appartiene a un’epoca storica in cui il campionato italiano rappresentava l’apice della carriera per quasi tutti i talenti di livello internazionale ed anche le squadre di medio cabotaggio attingevano con raziocinio al mercato estero.
Nella sua carriera di calciatore, si è fatto notare per il fatto di essere un centrocampista “di lotta e di governo”, con un fisico statuario (1 metro e 90 per 88 chili) e una capacità innata di distruggere l’azione avversaria e di ripartire, seppur con ritmi compassati, grazie a una straordinaria visione di gioco. Arrivato in Italia nel 1995, dopo essersi cimentato con il calcio svedese, belga, olandese e inglese, ha vestito le maglie di Bari, Bologna e Lecce per un totale di 139 presenze e 10 gol in Serie A, 38 presenze e 8 gol in Serie B con la maglia del Bari. Fece parte di quel Bari che riuscì a fare di Igor Protti il capocannoniere della Serie A nella stagione 1995-96, senza riuscire ad evitare la retrocessione, ed è ricordato principalmente per un rigore trasformato con la maglia del Bologna, contro la Sampdoria, che sancì la retrocessione in B dei blucerchiati e l’ingresso dei felsinei nell’allora coppa Intertoto. Ben altri i suoi successi con la maglia della Nazionale del suo Paese, con la quale ha totalizzato 57 presenze e 13 gol, partecipando alle fasi finali di un campionato europeo e di due campionati mondiali e conseguendo da protagonista un terzo posto a Usa ’94.
Nella sua breve carriera di allenatore, ha conseguito la vittoria di una coppa nazionale svedese alla guida dell’Elfsborg e si è trovato costretto dalla malattia a lasciare la guida tecnica della squadra appena due settimane fa.
Antonio Sibilia avrebbe invece compiuto 94 anni il prossimo 4 novembre. Originario di Mercogliano, in provincia di Avellino, ha ricoperto incarichi di prestigio nella società biancoverde per circa mezzo secolo, dalla fine degli anni Cinquanta all’inizio degli anni Duemila, ma soprattutto è stato il presidente, e padre-padrone, della squadra che militò ininterrottamente in Serie A per dieci anni, dal 1978 al 1988, quando il campionato di Serie A era a 16 squadre. Al timone del sodalizio irpino ha scoperto talenti come De Napoli, Tacconi, Juary, Vignola e Beruatto e ha avuto alle sue dipendenze allenatori come Ottavio Bianchi e Rino Marchesi, Oronzo Pugliese e Luis Vinicio.
Sebbene abbia rappresentato una figura molto discutibile e controversa del suo tempo, era l’ultimo di una generazione di presidenti, ormai tutti non più in vita, i quali, seppur con metodi spicci, hanno saputo raggiungere importanti risultati nella loro epoca. Gli altri esempi sono Rozzi, Anconetani, Massimino, e così via.
Raccontare la morte aiuta tremendamente ad apprezzare la vita. Ma questa è un’altra storia.