Tre uomini, tre storie, un solo legame

21.11.2014 19:42 di Gianluca Andreuccetti   vedi letture
Tre uomini, tre storie, un solo legame
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Livorno - Siamo così appassionati di calcio che riusciamo a parlare del nostro sport preferito anche quando il pallone non rotola ed a considerare parte della nostra famiglia calcistica, di chi ha vestito e onorato i nostri colori anche per un solo minuto, poiché il campionato di calcio è davvero quel romanzo popolare che unisce tutti, come diceva spesso un famoso conduttore televisivo impegnato a raccontarci le partite della domenica dalle reti Mediaset. Partendo da qui, non è possibile non provare a condividere con chi vive la nostra stessa passione l’emozione di giorni, quelli scorsi, caratterizzati dalla contemporanea partecipazione al valzer delle panchine di tre cardini della recente storia amaranto: Walter Mazzarri, Davide Nicola e Osvaldo Jaconi, in rigoroso ordine di apparizione.

Tre storie diverse tra loro, quelle di Mazzarri, Nicola e Jaconi. Ma, andando a scavare in profondità, le somiglianze tra questi personaggi del nostro calcio sono più numerose di quanto non si possa immaginare ad un primo esame. Sono tre allenatori che appartengono a tre generazioni diverse, ma hanno in comune il fatto di essere uomini di campo in senso stretto, interamente proiettati sul lavoro quotidiano e incapaci di vendere fumo a giornalisti e tifosi; pur in presenza di asperità caratteriali di un certo rilievo, soprattutto nel caso di Jaconi e Mazzarri, sono riusciti a costruire con la piazza di Livorno un rapporto più o meno duraturo nel tempo ed a centrare risultati di assoluto prestigio, in qualche caso addirittura inaspettati, che li hanno resi protagonisti indiscussi della recente storia amaranto. Tutti e tre partiti dalla gavetta, e tutti e tre fautori del modulo 3-5-2, sono, a parere di chi scrive, indiscutibilmente i tecnici che meglio hanno interpretato il ruolo di allenatore, a livello di risultati raggiunti e di empatia, nel “Livorno del Ventunesimo secolo” e della gestione Spinelli.

Le giornate a cavallo dello scorso fine settimana, stavamo dicendo, hanno visto Mazzarri, Nicola e Jaconi, nelle vesti di protagonisti volenti o nolenti del consueto ed emozionante valzer delle panchine, che va in scena tra una partita e l’altra nella fase centrale del campionato.

Primo ad entrare in scena, suo malgrado, è stato Walter Mazzarri nella mattinata di venerdì, che ha “macchiato” con il primo esonero della propria carriera un curriculum fino ad allora immacolato e in continuo crescendo: chi, pensando al tecnico di San Vincenzo, non è solito ripetere il sempre attuale ritornello “Acireale, Pistoiese, Livorno, Reggina, Sampdoria, Napoli e Inter”, come a voler fissare nella propria mente le tappe della carriera dell’ottimo Walter? Al di là dei risultati e del gioco non certamente scintillante della squadra neroazzurra, Mazzarri ha pagato con l’esonero per quella sua peculiare maniera di interpretare il ruolo di allenatore, che a tanti non piace: un uomo di campo che non vende fumo né ai giornalisti né ai tifosi e che, quando va in conferenza stampa, fa da scudo alla propria squadra con il proprio petto, in attesa di riferire ai giocatori cosa pensa davvero della loro prestazione. Le tante critiche che il buon Walter riesce ad attirarsi per la sua presunta antipatia sono dovute proprio a questo, ossia a un vecchio e sano modo di fare l’allenatore per cui il tecnico difende la propria squadra e il proprio lavoro in pubblico contro tutto e contro tutti e, tra le mura dello spogliatoio, ne ha per ogni singolo giocatore: non è un caso che la squadra non lo abbia mai abbandonato e che Nagatomo lo abbia difeso fino a poche ore prima dell’esonero. E’ incredibile a dirsi, ma il primo e più grande errore di Mazzarri nella sua avventura interista è stato quello di accettare la panchina neroazzurra in un periodo di assoluta transizione, in merito al quale il tecnico di San Vincenzo aveva ricevuto delle precise rassicurazioni dall’allora presidente Moratti: l’aver agevolato il ricambio generazionale in seno alla squadra, con l’esclusione del capitano Zanetti nella sua ultima partita di fronte al pubblico di San Siro, e il non esser riuscito a dare attuazione a un modulo di gioco alternativo al 3-5-2, a dispetto degli annunci fatti in conferenza stampa, hanno fatto il resto.

Lunedì sera, invece, i riflettori sono stati tutti per Davide Nicola e per la notizia della decisione del presidente del Bari, Gianluca Paparesta, di rimpiazzare l’esonerato Devis Mangia con il tecnico piemontese. Premesso che, con un cognome come Nicola, è inevitabile ritrovarsi un giorno sulla panchina del Bari, siamo rimasti impressionati ma non sorpresi dalla carica mostrata da Nicola in conferenza stampa: Nicola ha detto di aver accettato con entusiasmo la chiamata del Bari e ha avuto la giusta misura nel raccontare sia la sua precedente esperienza professionale in quel di Livorno sia la sua recentissima esperienza umana, legata alla prematura e tragica scomparsa di suo figlio Alessandro. Dalle tante risposte alle domande dei giornalisti pugliesi, emerge il ritratto di un allenatore ambizioso e slegato da un modulo di gioco preconfezionato: non ha promesso la serie A, ma l’impegno a mettere la dedizione e il sacrificio, suoi e della squadra, al servizio della causa e ha individuato in un fattore mentale le principali difficoltà del Bari di oggi, i cui giocatori sono chiamati a ripetere la splendida stagione dello scorso anno, quando i tifosi accorrevano in massa allo stadio per una squadra che regalava emozioni inaspettate. Oggi, tutti si aspettano dal Bari almeno quanto è riuscito a fare lo scorso anno: è questa la vera difficoltà.

E poi, c’è Osvaldo Jaconi. Sì, proprio lui: il Vodz, l’allenatore che ha riportato il Livorno in serie B dopo trent’anni di avventure nelle categorie inferiori. Nel pomeriggio di martedì è stato chiamato dal presidente della Fermana, Giorgio Fabiani, a risollevare la classifica della società in maglia gialloblù dopo la cocente sconfitta casalinga contro il Fano: la squadra ha collezionato 8 punti in 11 partite e naviga nelle acque agitate della zona retrocessione del girone F del campionato di serie D. Entusiasmo, esperienza ed intraprendenza non mancano a Jaconi: nelle sue prime dichiarazioni, rilasciate al sito ufficiale della Fermana, ha detto di aver bisogno di due settimane per valutare l’organico della squadra e ha parlato della sua necessità di avere a disposizione uomini veri, prima ancora che calciatori validi. Jaconi, che ha ottenuto in carriera ben 11 promozioni, ha vinto il suo ultimo campionato nella stagione 2012-13 alla guida del Montegranaro, portando la squadra marchigiana dall’Eccellenza alla serie D.

Jaconi saprà senz’altro mettere il suo carattere e la sua esperienza al servizio della Fermana: i risultati della squadra dipenderanno anche da lui, ma, di fronte ad un allenatore che torna in serie D pur di continuare a fare il lavoro che ama e che lo ha fatto amare in giro per l’Italia, non ci sentiamo di aggiungere altro.

Walter Mazzarri non ha bisogno di consigli perché sa benissimo fare e disfare da solo, come ognuno di noi, ma un’indicazione gliela vogliamo dare comunque: caro Mister, se davvero vuole continuare ad allenare a livelli alti o altissimi come ha dimostrato più volte di poter meritare, non si lasci tradire dal desiderio legittimo di incassare fino all’ultimo centesimo il lauto ingaggio che le deve versare la sua Inter e, quando le sarà possibile, si lasci guidare dal suo istinto e dalla sua voglia di tornare a respirare il profumo dell’erba. Altrimenti, il 1° luglio 2016, trovare un ingaggio e tornare ad allenare dopo 19 mesi di assenza dai campi di gioco sarà un po’ più difficile.

A Davide Nicola, infine, va il nostro “Arrivederci a presto!”: il 7 febbraio, allo stadio Picchi, Livorno–Bari sarà l’occasione per ritrovarsi tutti insieme a pochi giorni dal centenario del Livorno: fare meglio del suo predecessore non dovrebbe essere particolarmente difficile, sappiamo che ce la metterà tutta, ma speriamo che non ci porti via troppi giocatori nel mercato di gennaio.

Tre allenatori diversi. Tre storie diverse. Ma un legame indissolubile con il Livorno, la sua città e i suoi tifosi: un legame che, a distanza di tempo (poco, tanto o tantissimo) ci fa ancora parlare di loro come se fossero ancora qua.